Un augurio a tutti. E un piccolo regalo: il consueto racconto. Ogni benedizione.
Il sole di mezzogiorno entrava con determinazione dall’unica piccola finestra della stanza, colpendo la parete opposta al varco; il riflesso illuminava i volti dei giovani seduti in terra, appoggiati alle pareti, attenti ad ascoltare il rabbino.
L’anziano era faticosamente appoggiato all’unica sedia del locale e parlava assorto, intercalando alle frasi dei lunghi silenzi meditativi, come se cercasse le parole da qualche parte nella sua memoria.
O nel suo cuore.
Ai suoi piedi giacevano una decina di rotoli di pergamena, alcuni ancora arrotolati; un giovane scriba era attento ad annotare le sentenze più significative del decano della scuola, intingendo il suo stilo dentro un piccolo calamaio di coccio e incidendo rapidi segni sul foglio appoggiato ad una tavoletta.
«… no, non credo che questa sia la rinascita di Israele, Shlomo».
«Però, rabbì, è indubbio il fatto che stiamo vivendo tempi drammatici, tempi di prova e di caligine come affermano i profeti!».
L’anziano scosse la testa.
«Tutti i tempi sono stati difficili, tutte le epoche. I nostri padri hanno vissuto tempi difficili e così i loro padri. No, è la vita ad essere difficile, è solo il tipo di difficoltà che cambia».
Raphael alzò la mano e, ad un cenno del maestro, parlò:
«Il magnifico tempio in cui siamo, però, è un segno di rinascita forte della fede in Israele. Stiamo tornando all’osservanza della Legge e abbiamo ripreso ad offrire i sacrifici al Signore dopo secoli e secoli di inattività. E il tempio raduna migliaia di fratelli ogni giorno e nelle feste arrivano da tutto il mondo secondo la profezia di Isaia!».
Al rabbino piaceva quel giovane entusiasta dai riccioli ribelli e dal cuore puro.
Come il suo, quando era giovane e pensava che la dominazione romana non sarebbe durata per sempre.
Ed era vero: ora i romani se ne erano andati ed Erode il grande aveva reso forte la nazione, pur essendo un mezzosangue, ricostruendo il tempio.
Ma voleva dire a quei giovani che il tempio non avrebbe salvato Israele e che, anzi, già vedeva nella crescente organizzazione dei sadducei e della rinata classe sacerdotale il seme che avrebbe portato di nuovo alla rovina Israele, con i loro riti, gli intrallazzi, il potere da spartire con ferocia, in nome di Dio. Come era successo tante volte, con Mosé, con Giosué, anche con Davide e Giosia…
Era troppo vecchio e aveva visto troppe cose per credere davvero in un cambiamento. No, il tempio non avrebbe salvato Israele…
Ma era meglio non scoraggiare i suoi giovani allievi.
«La preghiera è cosa gradita a Dio e ciò è bene. Dobbiamo vegliare perché non diventi solo apparenza, come bene ha profetato Isaia accusando il popolo di adorare Dio solo con le labbra».
Quasi tutti i presenti annuirono e commentarono.
Uno fra loro osò.
«Arriverà il messia, rabbì?».
Il messia…
Quanti lo aspettavano. Quanti lo ignoravano.
Anche lui, da tempo, lo aspettava.
Non un guerriero potente che avrebbe sbaragliato i nemici e risolto i problemi magicamente.
E nemmeno un nuovo re Davide che avrebbe reso grande Israele.
Si aspettava un messia come quello descritto dai rotoli del servo sofferente, diventati sua lettura quotidiana, nostalgica e dolente meditazione.
Si aspettava un messia come lui, fragile e debole, come ogni uomo.
Solo il debole avrebbe avuto compassione del debole.
Ma non era troppo pensare ciò?
Non era offendere l’immensa maestà del creatore?
Poteva, Dio, conoscere il dolore?
Socchiuse gli occhi, sentì che si stavano inumidendo. Sapeva che quelli erano gli ultimi giorni che Dio gli stava concedendo. Sapeva di avere cercato la luce in ogni giorno che il Santo, sia benedetto il suo nome, gli aveva dato da vivere. E stava ancora aspettando, ora che il suo tempo era finito.
«Arriverà, certo. Ma ora nessuno lo aspetta».
Lo guardarono stupiti, come se avesse detto un’enormità.
«Abbiamo il tempio, i sacrifici, il sacerdoti, a chi serve un messia? No, credetemi, solo chi è povero lo desidera, solo chi spera lo sa accogliere. Dobbiamo farci poveri nel cuore.
I tempi sono difficili, certo. E rischiamo di illuderci che il tempio segni la realizzazione del Regno. Non è così: il nostro cuore attende e questa attesa è il senso del nostro scrutare le Scritture».
Parlava di sé e tutti lo capirono.
Il rispetto nei suoi confronti era enorme e la fama della sua santità era pari alla sua saggezza.
Entrò un inserviente.
«Perdonami rabbì Simehon, uno dei sacerdoti chiede di scendere ad aiutarlo. È arrivata una giovane coppia di Betlemme per circoncidere il loro primogenito ma devono essere del Nord, come te. Forse riesci a spiegargli cosa devono fare per l’offerta».
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