L’11 ottobre 1962 si apriva il Concilio Vaticano II. L’ultimo era stato interrotto dalla questione italica nel 1870 e alcuni studiosi pensavano che, avendo quest’ultimo riflettuto e deliberato sull’infallibilità papale, non ci fosse più bisogno di Concili. Non era di quell’avviso il bergamasco Giovanni XXIII che salì al soglio pontificio come papa di transizione e che, invece, inguaiò la Chiesa proclamando a sorpresa un Concilio ecumenico, 21mo dalla sua fondazione. Lo volle come un Concilio aperto al dialogo, pronto al confronto, che parlasse al cuore degli uomini piuttosto che fissare i paletti. Un Concilio di evangelizzazione. Proseguì l’ardua impresa il successore, l’intellettuale e timido Paolo VI che portò a compimento l’assise del 1965 e si trovò a gestire le reazioni al Concilio di chi pensava che questi deliberasse un sessantottesco “liberi tutti” e quelli che lo accusarono di tradire la tradizione. Chi studia la storia della Chiesa sa che ogni Concilio ha avuto le stesse opposte reazioni. Ma ora, a 50 anni di distanza, possiamo riflettere con serenità su quello che fu un evento di grazia la cui forza continua oggi.
E lo voglio fare da una prospettiva particolare, la mia.
Nascevo l’anno di chiusura del Concilio. Non ho mai conosciuto la Chiesa pre-conciliare, né assistito ad una liturgia tridentina. Il mio catechismo era già sui nuovi testi della CEI e quando, adolescente, in piena crisi di fede, come ogni adolescente sano, ho prima rifiutato la Chiesa per poi riscoprirla nel volto e nella gioia di molti giovani, stavo vivendo, senza saperlo, la Chiesa conciliare.
Perciò, crescendo, sono rimasto addolorato nel vedere rimettere in discussione aspetti che per me erano stati il motore del mio avvicinamento alla fede. Discussioni inutili di chi voleva relegare il CVII a madornale errore o chi lo interpretava come benedizione per il dissolvimento del cristianesimo, come se tutto ciò che l’aveva preceduto fosse sbagliato.
Il Concilio fu, certo, un elemento di novità e in parte di rottura, come sostiene lo storico Melloni, ma nella continuità, come afferma papa Benedetto. Perciò la visione del mondo e della Chiesa che ne emerge è imprescindibile nella comprensione del mistero cristiano.
Sono figlio del Concilio perché il Cristo che ho conosciuto, la passione per la Scrittura, la voglia di partecipare, il volto compassionevole della Chiesa mi sono stati donati da coloro che quel Concilio l’avevano vissuto e amato.
Credo che Dio assista la sua Chiesa nel corso della storia e che quel momento fu profetico e lungimirante.
Le sfide che ci attendono oggi, il desiderio di annunciare il vangelo a comunità stanche e demotivate, attingono ancora da quella straordinaria primavera dello Spirito.
15 Comments