Capita spesso di ricevere dei manoscritti o dei libri. Di solito sono persone che mi hanno letto e che vogliono un consiglio o che sperano che io li possa “introdurre” presso qualche editore.
Così, quando ricevo l’ennesimo pacco, lo lascio sulla scrivania per qualche giorno, poi lo apro. Si tratta di un piccolo libro fotografico, poesie, mi sembrano, il titolo “Come la neve. Lettere a Francesco e Giuditta”. Lo sfoglio senza leggere, bella la confezione, belle le foto. Prendo la lettera che lo accompagna. Ho un tuffo al cuore.
Sono passati vent’anni: era il 17 febbraio 1991, era una splendida giornata invernale, forse troppo calda. Il cielo sereno aveva spazzato le nubi dopo alcuni giorni di intensa nevicata. Allora ero vice-parroco a Courmayeur e all’ora di pranzo ci giunse la notizia: una gigantesca valanga nubiforme si era staccata e aveva travolto quattordici sciatori che stavano percorrendo la pista del Pavillon. Duemila metri di dislivello, un fronte di trecento metri, 200km di velocità: c’erano davvero poche speranze di trovarli vivi. Due degli sciatori si salvarono miracolosamente, per gli altri dodici iniziò una ricerca gigantesca: per giorni e giorni oltre duecento persone cercarono i loro corpi fra la neve alta fino a otto metri. Tutto il paese si mobilitò per trovarli: si facevano i turni e gli albergatori portavano il cibo caldo per i volontari.
In poche ore trovarono quasi tutti i corpi, eccetto due. Francesco e Giuditta, padre e figlia di tre anni. Li cercammo per una settimana intera, sette infiniti giorni di stanchezza e tenacia, per restituire a Barbara, la moglie incinta di Francesco, di poterli almeno piangere. Conoscevo bene Barbara: mio padre aveva ristrutturato la casa dei suoi genitori a La Saxe. Li trovammo, infine, e fui io, nella gelida camera mortuaria del cimitero, a dar loro la prima benedizione, mentre le guide li toglievano dai sacchi salma, il padre congelato con un braccio alzato, nell’inutile tentativo di proteggere Giuditta che portava nello zaino. In quel momento tutti i presenti, sei o sette persone, persone abituate alla durezza della montagna, scoppiarono a piangere, io con loro.
Sono passati vent’anni, o due ore. Barbara ha raccolto alcune riflessioni di questi vent’anni e le ha pubblicate. La bella foto di copertina, un prato innevato, dice già tutto del cuore di questa famiglia. Un libro per gli amici, per capire, per volare, per dare un orizzonte a Paolo, diventato grande. Quando penso alla Madonna addolorata, penso a lei. Quando penso alla speranza che non demorde, penso a lei.
Amore mio,
cos’è la morte? Non riesco a capire.
E’ un bosco nero e cupo di tronchi attorcigliati
o è un mare che luccica al tramonto?
E’ più morte la vostra o la mia?
Devo cercare un senso o cercare non ha senso?
Dimmi tu amore mio dove andare, cosa fare
Fosse per me mi scioglierei nell’infinito,
squarcerei il mio corpo e ne farei uscire tutta la sua essenza.
Ti prego, amore mio,
sciogli i miei dolori in un deserto di solitudine.
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