Massimo è down. L’ho conosciuto dalle mie parti, nella sua nuova famiglia. Con lui ho imparato la beatitudine dei poveri in spirito. Al suo funerale, un evento di fede e di gioia, qualcuno mi disse che ora, in Dio, non era più “down” ma “up”. Ho chiesto a due amici di raccontarvi di lui. Perchè Dio abita le nostre piccole storie.
È la prima volta che scriviamo qualcosa su di lui. Abbiamo parlato e scritto della comunità tante volte, ma specificamente di Massimo, è la prima.
Massimo nasce il primo Novembre del 1957 e dopo tre anni mamma Rosa muore.
Cresce con un fratello che non si occuperà mai di lui e con il padre alcoolista. Il papà faceva “l’attacchino”, appendeva cioè i manifesti sulle bacheche del paese. Le prime immagini che io ho di Massimo sono riferite a papà che cammina davanti e lui dietro con secchiello di colla e spazzolone.
Massimo da giovane era “cattivo”, noi ragazzini avevamo paura a fargli gli scherzi perché con il bastone ci prendeva a randellate. Massimo è cresciuto al “circolo” del paese, il bar era la sua casa. Lì ha imparato le parolacce, le bestemmie, a giocare a carte e “leggere” il giornale. Sapeva giocare a scala quaranta e pinnacola.
Massimo ha sempre camminato con il giornale (rigorosamente “Il Giorno”) sotto l’ascella. Questa è l’immagine che tutti abbiamo di lui. Quando lo abbiamo deposto nella bara gli abbiamo messo “Il Giorno” sotto il braccio…
Ad un certo punto i servizi sociali hanno deciso di intervenire e lo hanno obbligato a frequentare un centro diurno dove lo accudivano, lavavano e gli davano un pasto decente. Più o meno venticinque anni fa facevo l’obiettore di coscienza all’USSL e di tanto in tanto mi capitava di portarlo a casa dal centro: lo portavamo al bar dove il barista lo accoglieva e insieme aspettavano il papà. Gli educatori del centro, uno in particolare, hanno cominciato a lavorarlo ai fianchi e a far uscire la parte buona che c’era in lui. Massimo si è fatto educare e da allora non ha mai smesso di ringraziare e mandare baci.
Nel frattempo siamo tutti cresciuti e con il coadiutore della nostra Parrocchia abbiamo dato vita ad un gruppo, che in seguito chiameremo Agape, che due domeniche al mese portava una quindicina di ragazzi disabili in oratorio, Massimo compreso. La situazione è peggiorata e Massimo è stato allontanato da casa e portato in una comunità a C. Nelle feste comandate io L. e altri amici andavamo a prenderlo e lo portavamo da noi per qualche giorno.
Siamo alla fine del 1992 quando l’USSL chiede a noi se siamo disposti ad aprire una comunità alloggio per ospitare ragazzi disabili della nostra zona. Noi giovani incoscienti abbiamo accettato. Il 01 Giugno 1993 la comunità apre. Il primo ospite è Massimo.
E’ arrivato con due sacchi della spazzatura pieni di vestiti ed una valigia di cartone. Sembra un film, ma purtroppo era la realtà. Negli ultimi tempi a C. dormiva su una poltrona letto perché aveva dovuto dare il suo letto ad una persona più grave… A C. faceva il baby-sitter alla bambina piccola dei proprietari della casa, cullava la piccola, faceva tappeti al telaio. Ancora oggi porta i segni dei calli sulle mani dovuti al telaio.
Ad A. tutti lo chiamavano Massimetto, da noi era già Massi o Max che lui traduceva in massimiliano. Quando è arrivato diceva pochissime parole, ma non perdeva occasione per toccare tette e culi: una vera calamita…
Inizialmente siamo in 10 che costituiamo la comunità e che ci diamo da fare per far si che diventi sempre più casa. Il coadiutore a settembre del ’93 viene destinato ad un’altra parrocchia e noi ci ritroviamo soli. Ma questo è solo un dettaglio. L. lascia il lavoro per seguire la comunità, ci sposiamo ad ottobre del 93 ed insieme decidiamo che lei si occuperà della comunità, mentre io provvederò al sostentamento della famiglia. Inizialmente facciamo un po’ tutto con i volontari: noi (L. ed io) facciamo una notte a settimana più un sabato e una domenica ogni quindici giorni. Il rapporto con Massi si intensifica, ci riconosce come suoi riferimenti, instauriamo una vera e propria amicizia. Siamo amici!!! Ci vediamo, ci frequentiamo, ridiamo, scherziamo, giochiamo. Facciamo quello che fanno gli amici; amici diversi, forse, ma sicuramente amici!
La comunità cresce, a Massimo si unisce Silvio, poi Rosella, Serafina, Franco.
Già dal ’94 la Valle di Rhemes diventa luogo privilegiato per noi e Massi. Insieme trascorriamo ferie estive ed invernali. A Massimo la “Valdaosca” piace. Spesso ci diceva: “partire”, gli piaceva il rapporto privilegiato che avevamo con lui. Massimo ha un problema al cuore dalla nascita: ha un difetto ventricolare, il sangue arterioso e venoso si mischiano. Nel ’97 gli danno due anni di vita ed una morte sofferente, finchè un cardiochirurgo si assume la responsabilità di operarlo. Fino ad allora i cardiologi che lo avevano visitato non avevano mai prospettato la possibilità di una operazione perché era un down ed aveva 40 anni. Già una vita vissuta, per loro. Il grande Gallotti lo opera e concede ancora 14 anni di vita a questo “deficiente”. Lui lo chiamava così perché Massimo aveva un deficit. La sua domanda che è passata agli annali è stata: quanti deficienti avete in comunità? All’Humanitas ha fatto i numeri. Lo operano, l’operazione è a cuore aperto ed è andata bene, ma quando si tratta di far ripartire il cuore, il cuore non parte! Chiamano il cappellano, gli danno l’estrema unzione, L. chiama tutti e tutti giù a manetta a Milano. I medici continuano a provare a far ripartire il motore e ad un certo punto riparte. A notte fonda viene in saletta (dove eravamo riuniti e facevamo avanti e indietro dalla Cappella) l’anestesista a dirci che il cuore è partito. E vai! Massimo va in rianimazione, è attaccato al respiratore che lo ventila. Il giorno dopo i medici ci chiamano sbalorditi perché Massimo non partecipa alla respirazione. Tutti i pazienti, ci dicono, anche il più malandato una piccola percentuale di partecipazione alla respirazione ce l’ha. Lui no! Ci mostra il monitor: partecipazione paziente zero. Diciamo a Massimo che deve respirare e gli facciamo vedere come, lo facciamo insieme, ed ecco, ricomincia a respirare! Esce dalla rianimazione dopo 15 giorni, va in camera e la prima notte che non lo assistiamo perché stava meglio, si alza per sistemare il comodino e tutti i suoi giornali. Il giorno dopo ritorna in rianimazione per difficoltà respiratorie.
Torna agli inizi di dicembre e a Natale viene a Rhemes. Abitiamo ancora in piazza. Di lì a poco conosciamo il Parroco di RND e ci propone il trasferimento in casa parrocchiale…
Massimo con l’operazione ha una maggiore ossigenazione al cervello; diventa più acuto, impara parole nuove e le usa correttamente, insomma, più intelligente. Massimo era un attore nato, un imitatore. Imitava benissimo tutti gli animali, spaziale l’imitazione della tartaruga, del pesce, del cammello, del serpente e della foca. Il suo passatempo preferito era ricopiare gli articoli di giornale su un quaderno e ricopiare nelle caselle del cruciverba le prime lettere della domanda corrispondente al numero verticale o orizzontale. Se non lo sapevi sembrava proprio che stesse facendo le parole crociate: un vero intellettuale!
Nelle gare di atletica aveva uno stile impeccabile, peccato che la prestazione poi risultava pessima. Ad esempio quando correva i 50 metri al campo di atletica, aveva tutti i movimenti e le posture dei veri atleti, poi quando era il momento di partire, faceva quattro passi e si fermava…
Ci sarebbero duemila aneddoti da raccontare…
Nel 2001 Massimo si ammala, ha un tumore alla vescica, lo operano e gli praticano una deviazione (urostomia). Da ora in poi ha un sacchetto legato all’addome che raccoglie le urine. L’operazione è pesante, l’anestesia forte. Ha continue allucinazioni, vede farfalle. Era fortunato perché vedeva cose belle… L’anestesia un po’ lo segna, comincia a “perdere terreno”. Entra un po’ in depressione post operazione, piange spesso. Impara a gestire il sacchetto e diventa pressochè autonomo nello svuotamento. Tutte le volte che Massimo è stato male si faceva forza dicendo: passerà.
“Io uomo” lo ripeteva quando doveva farsi forza, noi gli ripetevamo che doveva essere forte, che non doveva avere paura perché era un uomo. E che uomo!
Per non farsi mancare quasi nulla, successivamente ha avuto almeno cinque ulcere agli occhi e una ernia inguinale. Per molto tempo ha portato un fastidiosissimo “cinto” fino a quando non hanno deciso di operarla. L’operazione, anche questa volta è riuscita, l’anestesia gli ha creato numerosissime allucinazioni. Ero con lui quando diceva “arrivano” e vedeva passare di tutto di più: gatti, persone, animali… Ad un certo punto mi dice. Vedi? Gli dico “cosa vedi?” e lui: “la Madonna, tutto azzurro!” …
Dopo qualche ora, mi sembra che le allucinazioni siano passate, lui dorme ed è a letto con le spondine alzate e tutte le cannucce attaccate. Decido di andare a casa a dormire. La mattina presto quando L. va all’ospedale lo trova nella sala infermieri che gioca al solitario al computer!
Ci hanno spiegato che poco dopo che ero andato ha saltato le sponde del letto e con tutte le sue cannucce vagava per il reparto.
Anche se al momento non sembrava, l’anestesia lasciava strascichi
Da qui in avanti la memoria cominciava ad abbandonarlo. Metteva il giornale o gli occhiali da qualche parte, poi non si ricordava dove li aveva lasciati, e vagava per la comunità incazzato nero alla ricerca delle sue cose perché diceva “rubato”.
Nel 2008 gli fanno una revisione della stomia e già che ci sono gli fanno anche la circoncisione e un’altra ernia. Massimo in questi ultimi interventi ha paura dell’ospedale, si spaventa e piange. Sale dalla sala operatoria sofferente, piangente. Si lamentava tanto e quindi doveva soffrire molto perché aveva una soglia e una tolleranza del dolore altissima. Era inconsolabile. Una infermiera presa dall’ansia di vederlo soffrire gli fa una puntura. Siamo in camera io e L., smette improvvisamente di piangere, gli diventano blu le orecchie, le labbra e gli occhi. Chiamiamo subito gli infermieri, arrivano anche i medici e gli anestesisti che lo intubano. Sono dentro in otto.
Alla fine la situazione si normalizza, ma lui di questo episodio ne porterà le conseguenze. La memoria non c’è più, non riconosce più nessuno, neanche noi. Inizialmente a tratti forse riconosce, in vacanza chiama “L” per l’ultima volta. Anche il fisico risente di tutte le fatiche, cammina sempre meno. I medici parlano di demenza senile, ha delle “clonie”. L’inizio vero della fine.
A Marzo 2010 si ammala di polmonite, va all’ospedale, lo curano poco e male, lo dimettono. La tosse non gli è mai passata e a Dicembre 2010 torna all’ospedale. Lo curano senza convinzione, lo dimettono e marzo torna e non uscirà più…
Lo hanno curato poco e male perchè dicono che è down ed ha 50 anni ed è un “vecchietto” che si sta spegnendo.
In tutti questi anni di malattie e ricoveri, Massi è sempre stato sereno e, quando il dolore glielo permetteva, riusciva sempre a godere di quello che la vita gli riservava. Baci e grazie non mancavano mai. Forse anche perché sentiva vicino a sè tante persone che lo amavano ed era tranquillo perché sapeva che qualcuno si sarebbe sempre occupato di lui. Lui si è completamente affidato a noi. “Bella pupa e Brusini” come spesso ci chiamava quando voleva giocare…
Massimo muore. Anche qui ci ha aspettato. Ha aspettato a morire che ci fossimo solo noi. Domenica, il giorno prima di morire, quando sono arrivato all’ospedale, L ha detto a Massi nell’orecchio che ero arrivato, lui si è tirato ed ha spalancato gli occhi. In quel momento ci ha salutato! La morte era annunciata, il fratello e la cognata vengono in ospedale si fermano un’oretta e poi ci dicono di avvisarli se succede qualcosa e se ne vanno.
Vengono all’ospedale Simone e Sergio, Simone sta con me, Sergio con L.
L fa fatica a stargli vicino e vederlo respirare affannosamente. Ha collegato un saturimetro che segnala i battiti e la saturazione del sangue.
Gli metto una mano sulla fronte e con l’altra lo prendo per mano. Il saturimetro scende, i battiti non ci sono più: sono venuti a prenderlo. Massimo è davanti al Padre e come dici tu, Paolo, già Arcangelo!
Massimo in comunità si trovava bene, era casa sua! Lui lo sapeva, noi anche, i suoi compagni pure. Godeva di privilegi che solo lui venivano concessi. In comunità ha imparato le regole del bon ton, ad aspettare la pizza con serenità, a mangiare senza strafogarsi… A parte gli scherzi, in comunità è cresciuto ed è diventato adulto.
Alcuni aneddoti:
I primi tempi che era in comunità ha lanciato dalla finestra un maialino (salvadanaio di porcellana) in testa agli anziani che facevano, a dir suo, “cassino”. Sempre i primi tempi ha rincorso dei bambini con il bastone perché facevano “cassino”.
La prima pasqua in comunità ha rubato un uovo di cioccolato, ha dato la sorpresa al suo compagno di camera perché non dicesse niente e lui, di notte sotto le coperte, si è mangiato tutto l’uovo.
Franco, un ragazzo molto problematico, violento e stra-ossessivo delle sue cose, è stato allontanato dalla comunità perché una sera che facevamo la notte io e L, per farci vedere che era più forte di noi, ha preso a ciabattate in faccia Massimo. Il giorno dopo che Franco era andato via Massimo si è presentato con indosso un paio di suoi pantaloni. Scendeva le scale fiero e sorridente.
21 Comments