Mi racconta della sua attività lavorativa, di piccolo imprenditore cresciuto nella bottega del padre, nell’Italia del dopoguerra. Ora, dopo quarant’anni di lavoro da artigiano, dopo avere dato lavoro a decine di persone, deve fare i conti con le grandi multinazionali che insidiano la sua piccola ma consolidata attività, cercare di far quadrare i conti, non fare il passo più lungo della gamba.
È prudente e saggio, dietro gli occhiali e la barba incolta colgo un animo sensibile e una grande cuore.
È difficile, oggi, stare in piedi con la concorrenza spietata che c’è in giro.
Molti anni fa, con mia moglie, decidemmo, quando morì mio padre, di darci delle regole. La prima è che prima c’è la famiglia: il sabato non si lavora, mai. La seconda, da cristiani, era di non mettere il profitto al di sopra di tutto, ma le persone. Certo, Paolo, si fatica di più: se ci fosse il profitto al centro avrei dovuto licenziare tanta gente in questi anni, quelli che tieni perché abbiano un lavoro, che devi sempre stargli dietro, che devi spiegare gli cento volte le cose. Ma se li licenzi, chi se li piglia? Allora pazienza, il profitto cala, ma hai dato da vivere a una famiglia e dato dignità ad una persona, a un lavoratore.
Dopo quarant’anni di lavoro non mi sono potuto permettere una seconda casa, e le macchine le ho portate fino alla fine, ma ho tirato su i miei figlioli e molti operai che hanno lavorato da noi mi salutano con affetto quando li incontro.
Penso di avere fatto la scelta giusta: le persone per prime, poi il profitto.
Sennò che cristiano sarei?
(grazie ai tantissimi che mi hanno fatto gli auguri di San Paolo!)
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