Tre sono i protagonisti del vangelo di oggi: Gesù, il cieco, i farisei.
Gesù appare all’inizio e alla fine del racconto: è lui che prende l’iniziativa, non gli viene chiesto un intervento da parte del cieco. Dopo la guarigione, Gesù scompare, lasciando il cieco prendere consapevolezza di quello che è accaduto e, alla fine, di porsi il problema circa l’identità profonda di Gesù. È sempre così: Gesù è presente nella nostra vita, ma non sempre ci accorgiamo della sua presenza. Ce ne lamentiamo, come i bambini, ma in realtà la sua assenza ci obbliga a crescere, a credere, a motivarci. Motivazione che, nel cieco, come in noi, è progressiva. Passiamo dalla tenebra alla sfolgorante luce del vangelo per tappe.
Il cieco fa un cammino sorprendente. Guarito, non sa bene come, riconosce in Gesù un uomo, poi lo definisce “profeta”, infine lo proclama Signore. La fede è un cammino progressivo, di luce in luce, di consapevolezza in consapevolezza.
Giovanni, birichino, gioca col lettore: chi è veramente cieco dentro questa storia?
Dio ci vede benissimo, il cieco pure. Chi invece pensa di vederci chiaro, è accecato dalla supponenza.
Se per tre volte, interrogato, il cieco risponde di non sapere, i farisei, invece, sanno.
Sanno che fare fango di sabato è peccato, quindi Gesù è un peccatore.
Prima accusano il cieco di essere un finto cieco.
Poi accusano Gesù di essere peccatore.
Infine, davanti alla stringente logica del cieco, ex-timido, ex-pieno di sensi di colpa, diventato maestro, reagiscono insultandolo e cacciandolo.
Sono talmente certi delle loro convinzioni da non ascoltare, da non arrendersi nemmeno davanti alla palese evidenza.
Così nella fede; solo se ammettiamo di non sapere possiamo conoscere.
Chi pensa di sapere già tutto non incontra Dio e il suo dinamismo.
Guai ad una fede che non si mette in ascolto.
Guai ad una fede che non dialoga, che non discute.
E anche nella vita quotidiana rischiamo di essere ciechi: non accettiamo le opinioni degli altri, siamo impermeabili alle loro posizioni, muro contro muro, lo scontro diventa inevitabile. E la tensione sale, come l’incomprensione: destra contro sinistra, squadra contro squadra, oppositori a prescindere.
Lo squallido spettacolo bipartisan che il nostro parlamento sta offrendo, di una rissa continua, a prescindere, è la triste espressione di un paese che perso il buon senso.
E sta perdendo l’anima.
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