Come tutti fatico a capire cosa sta succedendo in Nord Africa. In Libia, in particolare, non ho amici che mi possano illuminare, come invece è successo per la Tunisia e l’Egitto. Certamente la situazione è drammatica, soprattutto per il rischio di una “somalizzazione” del grande paese arabo.
Ogni giorno prego e cerco informazioni, con scarsi risultati.
Stamani, però, scendendo a Milano per lavoro, sento alla radio una piccola notizia in un programma di approfondimento. Ora che riesco a connettermi col portatile trovo la notizia che vi riporto:
Sono una sessantina e vengono da Italia, Malta, India, Filippine e Spagna, le religiose appartenenti a 16 comunità che hanno deciso di restare accanto a chi soffre in Libia. Dopo la nota ufficiale di ieri della nunziatura di Malta e Libia, che annunciava la decisione di tutte le religiose straniere di non lasciare il Paese, oggi fonti cattoliche confermano al SIR che “le suore lavorano negli ospedali come infermiere e ci raccontano che il lavoro è incrementato enormemente, perché arrivano tanti morti e persone con ferite di tipo violento, soprattutto a Bengasi. Da questo si accorgono che intorno a loro sta succedendo qualcosa di grosso”. I cattolici in Libia sperano e pregano perché “diminuiscano le violenze e i morti, ma al momento attuale la situazione è difficile da prevedere”. La Chiesa in Libia, che è di circa 100.000 fedeli, è finora al sicuro. A Tripoli pare che la situazione sia ancora relativamente tranquilla. Ma è difficile valutare cosa sta realmente accadendo perché i mezzi di comunicazione locale forniscono solo la versione ufficiale, e anche le religiose riescono ad avere informazioni solo dalle tv internazionali.
Le suore in Libia ci fanno sapere che restano, semplicemente.
Un piccolo germe di speranza, ancora una volta. In mezzo al caos e al rovesciamento dei regimi, silenziosamente, qualcuno resta a condividere dolore e a offrire aiuto a rischio della propria vita.
Nel nome del Nazareno, ancora una volta.
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