«Paolo o Primo?».
È un settantenne con qualche dente in meno e uno sguardo luminoso, dalla forte cadenza veneta. Mi spiega.
«Quando mio padre andò a registrare noi due fratelli disse: Paolo, primo, e Romeo, secondo e l’addetto del Comune registrò Paolo Primo e Romeo Secondo».
Scoppiamo tutti a ridere: la realtà è molto più divertente della fantasia, a volte!
I due operatori del progetto mi raccontano di Paolo. È stato ospite della loro struttura per qualche mese, si era ripreso, aveva di nuovo sorriso nonostante non avesse molte prospettive dinanzi a sé. Poi, la tegola: un vecchio furto era passato in giudicato e lui si era beccato cinque anni di carcere in definitivo. Mi racconta l’operatore che, quando lo avevano accompagnato al carcere, era scoppiato a piangere come un bambino.
Non è facile aiutare i carcerati, ovvio. Persone radicalmente abituate a delinquere, vissute fra espedienti e inganni, spesso mancano di ogni qualità umana, di ogni possibilità di crescita. Qui, invece, sette carcerati sono aiutati a ritrovare in loro stessi l’uomo che hanno perso per strada. Difficile, mi dicono i due operatori, pieni di passione e di voglia di combattere, ma possibile.
Paolo era finito in carcere, disperato e, mi confessano gli operatori, qualche lacrima era scesa pure dai loro occhi.
Continuano il racconto:
«Ieri sera, prima di cena, suona il campanello. Era Paolo, con un sacco dell’immondizia con dentro tutte le sue cose. Era stato riassegnato a noi, e nessuno ci aveva avvisato. Eravamo entusiasti, lui per primo, con quel suo sorriso sdentato e lo sguardo da fanciullo. Ci ha raccontato di essere uscito dal carcere e di essere venuto a piedi fino da noi, poi, esausto, è entrato a bere un caffè con l’ultimo euro che aveva e che la signora, gentile, gli ha chiamato un taxi per fare gli ultimi trecento metri. Ora starà qui per i prossimi cinque anni, nella semplicità della nostra struttura. Per noi è uno splendido avvento».
Ora il clima è denso e carico di emozione.
Sì, uno splendido Natale per Paolo Primo.
«Se tu sapessi» riprende l’operatore, «quanto dolore c’è nella sua storia, quanti abbandoni, quanta solitudine e rabbia, capiresti che dietro un delinquente c’è quasi sempre un disperato».
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