Sabato sera a Genova, al Tempietto, davanti a trecento amici e cercatori di Dio, ho letto una delle citazioni che, nel passato, più hanno spalancato il mio cuore alla fede. La si trova in una lettera che il grande scrittore russo Fedor Dostoewsiy, figlio del suo tempo irrequeito, così simile al nostro, indirizza ad una sua cara amica. La lascio alla vistra meditazione per la forza della sua testimonianza. Buona settimana.
“Non perché siete religiosa, ma perché io stesso l’ho vissuto e provato, vi dirò che insimili minuti (in cui si ricorda la sofferenza passata), come l’erba disseccata si è assetati di fede e la si trova appunto perché nella sventura la sofferenza si fa più chiara. Io vi dirò di me che sono un figlio del secolo, un figlio della miscredenza e del dubbio e che, lo so, lo resterò fino alla tomba. Quante terribili sofferenze mi è costata e mi costa ora questa sete di fede, la quale è tanto più forte nell’anima mia, quanto più sogno gli argomenti contrari. E tuttavia Dio mi manda talvolta dei minuti nei quali io sono del tutto sereno,; in questi minuti io amo e trovo di essere amato dagli altri e in questi minuti ho cercato in me stesso, il simbolo della fede, nel quale tutto mi è caro e sacro. Questo simbolo è molto semplice, eccolo: io credo che non c’è nulla di più bello, di più profondo, di più simpatico, di più ragionevole, di più virile e perfetto di Cristo. (…)
E non basta; se mi si dimostrasse che Cristo è fuori della verità ed effettivamente risultasse che la verità è fuori di Cristo, io preferirei restare con Cristo anziché con la verità”
(Epistolario, I vol., pag, 168, citato in CASTELLI, Volti di Cristo nella Letteratura, vol 1, Cinisello Balsamo, 1987)
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