Vi parlo di storie. Storie vere, storie che ogni uomo vive, storie che ho avuto la fortuna e la benedizione di accogliere e di ascoltare. Sarà che in alto, vicino alle alte vette, quando l’aria si fa frizzante e lo sguardo resta attonito e ubriaco di bellezza, la verità si fa come più chiara e la gente apre il proprio cuore alla condivisione. Due sposi chiedono di parlarmi. In un pomeriggio assolato di questo splendido autunno li ricevo nel prato di Etroubles: le montagne di sovrastano e ci proteggono. Mi raccontano di loro: cristiani dai tempi del liceo, una bella esperienza di fede nell’Azione Cattolica, la consueta crisi dei vent’anni, il recupero, un’esperienza missionaria che cambia loro la vita, una scelta di famiglia aperta e solidale: essenzialità, volontariato, tre bimbi che crescono nella consapevolezza di avere una famiglia straordinaria, papà che sta lontano tre mesi all’anno per l’ong che ha fondato, la crisi dell’adolescenza (perché gli adolescenti di genitori cristiani restano adolescenti…) fino alla scelta dell’Università del primogenito. Ragazzo introverso e serio, forse timido, che ha sofferto di questi genitori un po’ troppo “ultras”. I semestri che passano, i dialoghi tesi a cena, i lunghi silenzi, fino all’episodio che li ha messi in crisi nera. Il figlio rientra dopo un colloquio di lavoro, muso lungo, si siede, scosso, li guarda con un misto di rabbia e di disperazione e sibila: “Papà, mamma, ma come c… mi avete educato? Fuori è tutto diverso, fuori sono un marziano, nessuno dice o pensa ciò che mi avete insegnato!” Mentre ne parlano si fermano, sconsolati. No, non so molto cosa dire, perché mi vengono in mente le mille discussioni fatte mille volte da gente che mi diceva la stessa cosa, di ragazze che volevano vivere un’affettività seria o ragazzi che chiedevano una compagna con cui condividere dei valori e che – alla fine – sono rimasti terribilmente soli. Ha ragione, quel ragazzo, tragicamente ragione: ciò a cui è stato educato è la logica del vangelo, non quella del mondo. E se si sente un marziano è proprio perché questa distanza è ormai evidente, abissale. Nell’Italia del dopoguerra e fino agli anni ’70, forse (io non c’ero) esisteva una condivisione di valori, se non di fede. Tutti – chi più chi meno – sapevano del valore del lavoro, ci tenevano all’onestà, sognavano un focolare, una donna,dei figli, una piccola casa di proprietà, erano i tempo del boom economico, delle prime automobili popolari e tutti, credenti o meno, avevano un codice da rispettare, un metro – alla fin fine di origine evangelica – tramandato di padre in figlio. Ora non più e vivere in questo contesto si è fatto davvero difficile.
Che fare, amici? La tentazione di rinchiudersi a riccio è forte: creare luoghi appartati, luoghi in cui il vangelo è condiviso, creare lavoro tra simili, divertimenti tra simili. Ma non è ciò che il Maestro ha chiesto, pregando per noi ha chiesto di non toglierci dal mondo ma di preservarci dal maligno. La sfida da assumere è enorme, conservare il cuore puro, orientato al vangelo, senza diventare una setta, senza essere travolti dal pensiero dominante. Necessitiamo, però, e urgentemente, di luoghi di ritrovo, di isole in cui fare rifornimento, di comunità che siano – davvero – succursali del Regno. Non luoghi in cui ci si limita a celebrare di fretta una ritualità cristiana, ma piccoli spazi disseminati nella città con tempi e ritmi di persone normali, adulti che lavorano, e che sappiano dare a quel ragazzo e a noi la certezza che il Signore ci accompagna e che abbiamo dei fratelli. Per non sentirci dei Panda in via di estinzione!
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