[1]Ed entrò di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa [2]e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola. [3]Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. [4]Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. [5]Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati». [6]Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: [7]«Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?».[8]Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate così nei vostri cuori? [9]Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? [10]Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, [11]ti ordino _ disse al paralitico _ alzati, prendi il tuo lettuccio e và a casa tua». [12]Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!». Mc 2
Il secondo capitolo di Marco inizia con la guarigione del paralitico. Vorrei fare alcune osservazione di lettura: anzitutto dobbiamo tenere a mente che nella mentalità giudaica popolare ( e forse ancora un po’ nella nostra) c’era la convinzione che la malattia fosse una punizione di Dio ai nostri peccati. Poco era servita la riflessione di Giobbe che, invece, aveva slegato la retribuzione del peccato alla condotta della vita. Un paralitico dalla nascita era tale perché i suoi genitori avevano peccato e se era diventato paralitico era sicuramente a causa di un suo peccato. Vi immaginate che razza di isolamento si produceva con questo discorso? Capiamo perché l’arrivo improvviso di un paralitico innesca un discorso sul peccato.
Il paralitico viene calato dall’alto, ci immaginiamo la calca intorno alla casa che aveva accolto Gesù. l’unico modo di arrivare a Gesù era passando dal tetto di frasche che ricopriva le case a un unico piano caratteristiche della Palestina. Il paralitico viene portato perché bloccato, immobilizzato… che bella immagine di chiesa! La chiesa è colei che porta chi è paralizzato dal dolore, dalla solitudine, dal peccato, fino ai piedi di Gesù. Oggi portate nella preghiera qualche persona che conoscete, fate il servizio che fecero queste persone nei confronti del paralitico: è un servizio alla carità che potete fare.
Gesù resta stupito dalla fede di questa gente e perdona il peccato di quest’uomo. E’ stupefacente gioco che innesca Marco: gli scribi pensano in cuor loro: “Solo Dio può perdonare i peccati!”. Hanno perfettamente ragione: solo Dio può perdonare i peccati, quindi Gesù … Vedete il gioco di Marco? Nel perdono del paralitico e nella successiva guarigione adombra la divinità di Gesù.
Vale la pena anche di sottolineare il fatto che la guarigione del paralitico è il segno di una guarigione interiore ben più profonda.
Veniamo ora a noi: cos’é il peccato? Non vi sembri una domanda senza senso perché dalla risposta a questa domanda capiamo quanto cristianesimo c’é nella nostra fede. A me pare che, per rispondere, occorra rifarsi alla Scrittura. Nell’antico Testamento il peccato è legato all’idea del fallire un bersaglio, come la freccia che non colpisce la preda. Nel Nuovo Testamento il peccato è legato all’idea di un rifiuto dell’amore, di un rifiuto della luce. E’ proprio così: peccato è rifiutare la pienezza che Dio mi vuole dare, credermi capace di gestire la mia vita e, perciò, fallire il bersaglio. Dio mi ha creato per essere un’aquila e a me va bene restare un pollo. Peccato è, anzitutto, un’offesa nei miei confronti, una svalutazione di ciò che potrei essere e, perciò, un fallimento nel raggiungimento della mia felicità. E’ come se vi avessi regalato una lavatrice e voi la usaste come lavastoviglie: non lamentatevi se il vostro servizio di porcellana va in mille pezzi! Dio mi ha creato, sa in cosa consiste la mia felicità, mi dona il libretto di istruzioni che è la Scrittura e io decido che me la cavo benissimo da solo, che so io badare alla mia vita. Ecco cos’é il peccato.
Capite, allora, che io e Dio spingiamo dalla stessa parte. Anzi, forse più Dio di me. E peccato è tutto ciò che non realizza la mia natura più profonda. Cito spesso l’episodio del colloquio tra il Papa Giulio e Micelangelo che gli stava scolpendo il monumento funebre. Davanti alla bellezza del Mosé il papa, stupito, chiese a Michelangelo come avesse fatto a fare un capolavoro del genere. E Michelangelo a lui: “E’ stato semplice, ho preso un blocco di marmo di Carrara e ho tolto via tutto ciò che non era Mosé”. Anche per noi è così: siamo dei capolavori da realizzare e il peccato è tutto ciò che non sono io nel profondo.
Dio ha un Progetto su di noi. Lo conosciamo? Crediamo davvero che questo Progetto rappresenti la nostra massima realizzazione? In estrema sintesi il peccato è un non-amare, un credermi capace di realizzare da solo la mia felicità.
Ecco il primo ostacolo all’accoglienza della buona notizia: il peccato. Posso essere paralizzato nella mia miopia, chiudere il cuore nella durezza senza riconoscere che è il Signore che fa.
Alcune annotazioni finali su questo aspetto a partire dalle tante obiezioni che mi sento rivolgere quando parlo di peccato e di perdono. Anzitutto: molte persone contestano che il perdono sia intermediato da un uomo, il prete, peccatore quanto e più di me. Perché non posso confessarmi direttamente a Dio? Obiezione più che corretta, che però non tiene conto del desiderio del Signore Gesù che esplicitamente, a più riprese, affida il ministero del perdono proprio agli apostoli. Che, dunque? Non so dirvi il motivo, lo chiederemo direttamente al Signore. Mi pare però di intuire due ragioni soggiacenti a questa scelta. Io non so voi, ma a me costa molto di più confessarmi al Signore, il Perfetto, colui che è tutta luce, colui nel quale non è mai ombra, che non ad un uomo come me che conosce il peccato e conosce la forza del perdono… Questa solidarietà che si esprime con il condividere la stessa povertà, lo stesso dono, mi riempie di meraviglia, mi gonfia il cuore. Sì: davvero il Signore è con noi e ci perdona e la sua voce passa attraverso l’esperienza e il consiglio di un fratello che ha riceuto, per farmene dono, il ministero della pace del cuore. Idealizzo? Forse sì, me ne rendo conto. Eppure questo è il sogno di Dio. Non fermatevi all’esperienza negativa di questo o quel confessore che non hanno saputo trasmettervi calore e accoglienza… forse era stanco, sfiduciato. Sapeste che pena fare il confessore, alle volte! Vedere il dono di Dio gettato dalla finestra dietro paraventi quali ‘precetto’ e ‘dovere’ come quando si dichiara il proprio reddito al fisco (cioé: meno dichiaro e meno pago!). Ma anche che gioia interiore quando si assiste stupiti alla grazia che riempie il cuore di una persona! Una seconda ragione a difesa del ministero del perdono è dato dall’esperienza storica. Sapevate che all’inizio della chiesa, nei primi secoli, la confessione era pubblica, all’inizio della celebrazione eucaristica? Ve lo immaginate? Che figuracce! Eppure era così forte il senso di appartenenza alla comunità che si riteneva essenziale chiedere perdono anche ai fratelli. Ora questo compito di rappresentare la comunità è delegato al sacerdote. Sappiamo vedere in lui il fratello ferito dalla nostra colpa, dal nostro peccato! Infine voglio dire due parole sull’inutile senso di vergogna che alle volte l’avversario riesce a farci provare pur di tenerci lontano dall’abbraccio di Dio. Sapete che alle volte ho l’impressione di avere davanti penitenti più preoccupati del proprio peccato che del perdono? Come se vi volessero regalare dieci miliardi e voi foste tutti preoccupati perché siete vestiti da lavoro! All’obiezione: “Chissà cosa pensa il prete di me” reagisco rivelando uno scoop clamoroso. Sono prete, penso, confesso e perciò vi svelo cosa pensa un prete dopo due ore di confessione. Semplicemente dice: “Signore, abbi pietà di me peccatore” perché spesse volte le confessioni degli altri sono degli splendidi esami di coscienza per noi!
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